Nella sperimentazione di metodi sempre più efficaci in grado di confrontarsi con la difficoltà della mediazione familiare, l’approccio multidisciplinare della CO-MEDIAZIONE FAMILIARE ha prodotto risultati significativi. Tale modello, facendo riferimento alla teoria dei sistemi, considera il sistema familiare come un “sistema aperto” in relazione continuativa e reciproca con altri sistemi sociali, economici e culturali: il mondo del lavoro, la scuola, il sistema giuridico, sanitario, ecc., mettendo in evidenza la molteplicità e complessità dei contesti e delle dimensioni con cui confrontarsi e, dunque, da prendere in considerazione durante una separazione.
Sull’esempio dell’esperienza internazionale, negli ultimi decenni, accanto alla conduzione che vede un solo operatore alla guida del processo di mediazione, si sono diffuse modalità che coinvolgono più operatori in grado di misurarsi con la complessità del sistema; si parte dal “modello integrato”, nato in America negli anni ‘70 ad opera di Marlow e Sauber, un avvocato e uno psicoterapeuta che iniziarono a lavorare insieme, anche se in sedi diverse, proponendo un metodo in cui al mediatore psicosociale si affianca un esperto di diritto solo in determinate occasioni o nel colloquio finale per la redazione del progetto di intesa.
La loro collaborazione garantisce attenzione sia agli aspetti legali sia a quelli emotivi delle parti, attraverso un intervento congiunto che opera in un terreno neutrale in cui il diritto e la psicologia cooperano
Un ulteriore sviluppo avviene con la co-mediazione interdisciplinare (Gold 1988) che prevede la compresenza ai colloqui di due professionisti, uno appartenente alla sfera psicosociale e l’altro appartenente alla sfera giuridica. La loro collaborazione garantisce attenzione sia agli aspetti legali sia a quelli emotivi delle parti, attraverso un intervento congiunto che opera in un terreno neutrale in cui il diritto e la psicologia cooperano, senza rivendicare una esclusività di competenza o una primazia dell’uno o dell’altra.
Non costituendo un intervento terapeutico né una mera consulenza giuridica si pone obiettivi particolari e richiede nei singoli operatori abilità complementari all'esperienza professionale abituale, terapeutica o legale, e principalmente un lavoro di negoziazione, di adattamento reciproco e di accoglienza delle differenze che caratterizzano i singoli mediatori.
I due professionisti affrontano con le parti sia gli aspetti concernenti il diritto, sia le ipotesi per un’analisi e una ridefinizione delle loro relazioni. Mentre l’avvocato porta avanti principalmente le questioni pratiche ed economico patrimoniali, fornendo le necessarie informazioni legali in modo imparziale e oggettivo, lo psicologo, a sua volta, si fa carico dello scambio comunicativo e relazionale, controllando le dinamiche di gruppo, cercando di contenere la conflittualità e affrontando anche gli aspetti emotivo-affettivi e simbolici legati ai beni materiali.
I due co-mediatori possono alternarsi nella conduzione della mediazione purché vi sia comprensione per i reciproci punti di vista, le diverse sensibilità e culture, siano affiatati e ricettivi nel cogliere eventuali segnali inviati dal collega e abbiano sviluppato un adattamento reciproco e la capacità di aiutarsi nei momenti di difficoltà, evitando al tempo stesso di contraddirsi e svalutarsi a vicenda nei rispettivi ruoli.
È ovvio che una attività così complessa richiederà una capacità di sintonizzazione e coordinamento tale per cui non si potrà non prevedere un allenamento, un vero e proprio addestramento, un training per ottimizzare l’abilità e l’efficacia nella collaborazione.
Questo modello utilizzato nella mediazione familiare, tuttavia, nonostante richieda una specifica preparazione, potrebbe essere utilmente applicato sempre più spesso in altri ambiti in quanto presenta notevoli potenzialità rispetto ai separati interventi specialistici dei singoli professionisti; un grande vantaggio deriva dall'integrazione delle competenze e delle esperienze, dalla molteplicità delle forme di intervento, da una maggiore creatività ed equilibrio fra i sessi e le culture, dato che, talora, la coppia di mediatori può essere “strategicamente” composta da un uomo e una donna, creando e favorendo identificazioni e alleanze di genere. Ne deriva, dunque, l’opportunità di disporre e utilizzare abilità complementari oltre che la possibilità di un rafforzato controllo su eventuali errori, evitando il rischio di autoreferenzialità talora possibile per il singolo mediatore.
Una riflessione conclusiva, pertanto, ci induce ad osservare che il modello proposto è in grado di offrire un servizio completo e di qualità, capace di integrare e accogliere, nell’ambito del medesimo processo di mediazione, differenti bisogni di tipo relazionale emotivo ed economico patrimoniale, sottolineando, infine, che un tale approccio, potenzialmente utile nella generalità dei casi, risulta particolarmente opportuno nelle situazioni caratterizzate da elevata conflittualità o da forte squilibrio di potere.
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