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Gestire la propria rabbia

Tutti abbiamo esperienza della rabbia, nostra e altrui. In ciascuno di noi la rabbia può avere una durata e un’intensità variabili in base al temperamento e alle esperienze di vita in cui ci siamo formati.

Essendo un’emozione, però, la rabbia ha un tratto comune di fondo, quello cioè di essere un’attivazione neurofisiologica complessa dell’organismo. Ha quindi, in ciascuno di noi, un esordio, un crescendo graduale, un picco, un assestamento e una fase di graduale riassorbimento dell’attivazione iniziale. In quest’ultima fase la persona arrabbiata si calma e non sente più la tensione iniziale. In questa fase, la persona che si è arrabbiata può anche riflettere sull'episodio di rabbia.


La riflessione diventa fisiologicamente possibile a posteriori per via del diverso ritmo dell’organismo e delle onde elettrofisiologiche del sistema nervoso centrale. Infatti, nella fase di riassorbimento dell’attivazione iniziale, lo stato complessivo del funzionamento neurofisiologico torna ad essere più modulato e permette dunque le attività cognitive del pensiero e della riflessione.

In tal senso, poiché tutti abbiamo esperienza della rabbia e delle sue conseguenze su noi stessi, sugli altri intorno a noi e sull’ambiente intorno a noi, e poiché la riflessione sulla rabbia tende a venire dopo la crisi di rabbia, una prima utile strategia nel contenimento della rabbia, consiste nel riconoscere, grazie alle nostre esperienze precedenti, che ci stiamo arrabbiando.

Usare il nome proprio della rabbia, attivare il pensiero che la riconosce, interrompe il crescendo della rabbia e lo contiene, inserendo l’attività corticale della memoria, dell’utilizzo del linguaggio e dell’associazione stato emotivo-nome-contesto.


Il secondo step è quindi proprio quello di associare la rabbia attivata allo stimolo, cioè so che mi sto arrabbiando per questa ragione o per questa somma di ragioni. Così stiamo già riflettendo, stiamo cioè spostando l’attività del nostro corpo dall’attivazione massiva determinata dalla rabbia, ad una forma di attività più modulata. L’attività di pensiero permette infatti alle regioni corticali di modulare l’attività delle regioni sottocorticali dove maggiormente si attivano le emozioni. 

Possiamo allora verbalizzare la nostra riflessione sulla nostra emozione di rabbia, trasformando uno stato potenzialmente pericoloso per noi e per gli altri, in uno stato d’animo condiviso : “mi sto arrabbiando per questo, è stato proprio sgradevole e mi ha fatto male” ecc. possiamo cioè riconoscere gli effetti di una certa situazione su di noi e condividerli.


Il terzo step è appunto ripensare ed esprimere la rabbia come effetto di un determinato stimolo, associandovi anche gli altri affetti connessi, che spesso, nella crisi di rabbia, rischiano di essere coperti dalla rabbia stessa e non essere espressi. Questo arricchisce il nostro stato d’animo e non ci inchioda alla rabbia. Alla base del contenimento della rabbia deve esserci una scelta consapevole e uno sforzo reale per non cedere al crescendo spontaneo della rabbia e alle sue peggiori conseguenze.


Fabio Maria Cilento

Filosofo del linguaggio e Psicologo clinico

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